venerdì 16 aprile 2010

Apprendere nel cambiamento. In preparazione al Convegno Poliambulanza 10 Maggio 2010

Alcune riflessioni in preparazione del convegno  Persona e Organizzazione: tra(s)formazione e itinerari che si terrà il 10 Maggio 2010 presso Fondazione Poliambulanza - Brescia, durante il quale presento una relazione dal titolo: Apprendere nel cambiamento: la promozione dell’Uomo e lo sviluppo dell’organizzazione.
Ogni commento è apprezzato.


Con questo intervento vorrei proporre alcune riflessioni, a partire da tre affermazioni ricorrenti durante i corsi di formazione. Le tre affermazioni, che rappresentano dei rischi per la formazione, sono così sintetizzate:

a) "Qui è facile parlare, ma la realtà è un'altra cosa" . Il primo rischio per la formazione è quello di essere ritenuta "solo parole, mentre i fatti sono un'altra cosa".  Si potrebbe tradurre come il perseverare il distacco tra teoria e prassi, tra modelli e operatività
b) La seconda affermazione tipica è: "Qui tutto sembra possibile ma poi non cambia assolutamente nulla". Il secondo rischio per la formazione è dato dall'essere sterile, non promuove cambiamento, non genera nuove azioni individuali e organizzative. In altre parole "replicare la staticità", le ingessature, non promuove nuove opportunità, mantiene il valore delle posizioni dominanti.
c)La terza affermazione, è pronunciata solitamente dai formatori/docenti: "Ma alla fine i corsisti compilano un questionario di gradimento?" Il terzo rischio è dato dal considerare l'aula inizio e fine di un momento che deve essere per forza gradevole. Si rischia di avere una formazione "miope", con il fiato corto, si vede l'aula e i problemi senza aprirsi ai risvolti organizzativi, ci si occupa del qui e ora, perdendo di vista i grandi orizzonti. Oppure i partecipanti utilizzano il questionario di gradimento, verso un docente interno, per esprimere una vedetta, una ritorsione, attraverso un giudizio negativo non centrato sulla formazione ma legato ad altri eventi. In entrambe i casi, si perde di vista l'evento formativo nel suo valore di prospettico e sistemico.

Da qui tre possibili attenzioni, traiettorie, criteri con cui immaginare la formazione futura:
  1. Riguardo al primo rischio "sono solo parole, mentre i fatti sono un'altra cosa" l'attenzione che ne deriva è quella di RIEMPIRE LE PAROLE, dare peso alle parole, riempire di contenuti, di significati. La formazione è opportuno che con convinzione abbia il coraggio di partire dall'esperienza e ritornare all'esperienza. Per far questo si possono mettere in luce almeno due stimoli:
a)              L'attività di formazione è importante che nasca dalla ricerca sul campo, dall'osservazione delle pratiche, dall'analisi, dall'interpretazione dei fatti. Sembra scontato che ciò che viene detto nelle aule abbia un riscontro nella realtà, ciò è sostenuto solitamente dalla frase "le nostre ricerche dicono che" usata non poco da consulenti, docenti , formatori, senza effettivamente dimostrare quali ricerche sono svolte, come sono realizzate, quale consistenza evidenziano. La formazione e la ricerca possono dar vita ad un terreno di confine e di scambio in cui ciò che guida è la volontà di fare passi avanti. La ricerca è espressione stessa della formazione, della volontà di apprendere, di conoscere, di migliorare. Alcuni oggetti di ricerca ovviamente richiedono tempi, metodi, contesti particolari. Ciò non toglie che l'attività di formazione debba conseguire direttamente dai risultati raggiunti dalla ricerca. E' tempo ormai di evitare modelli generici che lasciano il tempo che trovano. La formazione attraverso metodi sempre più situazionali deve affiancare i partecipanti per declinare modelli e metodi all'interno dei propri contesti, traducendoli in operatività, buona pratica e attivando un cambiamento concreto.
b)            Un secondo stimolo può essere dato da b) La formazione è importante che affronti i problemi dell'operatività. Occorre dare peso alle parole ancorandole alla realtà di chi tutti i giorni "è in trincea", di chi lavora sporcandosi le mani. Non possono passare sopra la testa nella loro leggerezza e astrazione senza modificare per nulla la pratica. M. Corsi (presidente SIPED) indica che i fini dell'educazione (libertà, responsabilità e autonomia) sono "pesanti" e "pensanti" ovvero "espressione virtuosa della progettualità e dell'impegno quotidiano dell'educatore insieme all'educando, che rifugge dal conto meschino delle convenienze, delle utilità e dell'opportunismo". Rafforzare le parole con le attività concrete equivale a dare voce ai partecipanti, riconoscere loro il "potere" (empowerment) di guidare il timone della formazione e dei processi di apprendimento, un giocarsi del formatore in prima persona, senza maschere e scenografie. Riempire le parole vuol dire allora optare per una formazione significativa (J.D. Novak) in cui il baricentro non è il sapere del docente replicato a manovella dai parecipanti (vedi i corsi sulla normativa per la sicurezza), ma la possibilità per loro di ricostruire attivamente il proprio sapere, coinvolgersi globalmente nell'esperienza di formazione. Vuol dire optare per una formazione autentica (D. Simeone), in cui i soggetti sono capaci di togliere la maschera, di porsi in ascolto attivo, di un confronto schietto e serrato. Infine una formazione pratica che sappia incidere nella realtà, dia le condizioni per modificare l'agire delle persone, trasformare le mentalità e, quindi, solleciti un cambiamento culturale.
  1. Riguardo al secondo rischio quello di "replicare la staticità" la strategia che ne emerge è quella di TRAVALICARE I CONFINI (boundary crossing). Il primo grande muro da travalicare, come viene cantato in una canzone, è quello presente nelle nostre teste. Rappresenta una divisoria, un ostacolo, molte volte diviene una vera e propria unità di misura per valutare gli altri. Nel mondo del lavoro e della formazione, questa divisione, si esprime in molti modi: nella distanza tra le generazioni (si pensino alle generazioni che saltano il turno), tra gli esperti e i novizi, fra capi e collaboratori, tra docenti e allievi, tra uomini e donne. Il rischio è quello che se la formazione non sprona ad una trasformazione degli assetti si perdono innumerevoli risorse e opportunità. La formazione deve aiutare a scoprire nuovi percorsi, nuovi modelli, evitando che le nuove generazioni replichino (per necessità) vecchi modus operandi. Steve Jobs (fondatore di Apple) in un discorso tenuto nel 2005  alla Stanford University, esorta i ragazzi che ascoltano a non perdere tempo a vivere la vita di qualcun'altro, a replicare chi li ha preceduti, a non rimanere intrappolati in schemi già dati, ma senza distrarsi, dice loro: "seguite il vostro cuore e le vostre intuizioni". La formazione deve alimentare l'innovazione e il cambiamento, superando steccati e confini professionali e disciplinari, in altre parole, la formazione è l'incontro con ciò che è nuovo. Un bel libro dell'AIF di qualche anno fa, dal titolo "Nuovi alfabeti. Linguaggi e percorsi per ripensare la formazione" sollecita a comprendere e promuovere nuovi alfabeti, nuovi linguaggi, nuove sfide che alimentano l'agire formativo. I processi di apprendimento, di miglioramento, di cambiamento sono quindi movimenti orizzontali fra territori di sapere, ricordando Vygotskij, l'apprendimento avviene per zone prossimali di sviluppo e Yrio Engestrom, dell'Università di Helsinki propone un approccio denominato "expansive learning", ovvero un apprendimento per estensione, espansione, un superamento di confini. Ciò vuol anche dire superare le paure del confronto, moltiplicare le relazioni, il web 2.0 ne è un esempio, di fatto è un rompere gli schemi, superare ritualità che danno sicurezza a favore di contaminazioni  che tante volte sono già realtà.
  2.  Infine, rispetto al terzo rischio, avere una formazione "miope", la sollecitazione che ne consegue è ALZARE LO SGUARDO saper guardare lontano e da lontano. Questo permette di evidenziare 3 aspetti:
a) alzare lo sguardo per comprendere la complessità delle situazioni: la realtà infatti è un interagire sistemico, multilivello, ma anche inaspettato, molte volte rapsodico, una molteplicità di singoli eventi che è possibile correlarli solo a posteriori. Saper guardare da un punto di vista differente, a volte più distaccato permette di comprendere il senso di ciò che accade, l'evolversi delle attività. Sole se si alza lo sguardo ricercando una visione d'insieme, collegando i punti delle diverse esperienze, è possibile dare un senso e comprendere la relatività della propria posizione.
b) alzare lo sguardo per guardare oltre, per anticipare gli eventi, per capire quello che si nascone oltre l'apparenza delle cose, dei discorsi, delle persone, dei loro gesti. Ricorda Saint-Exupéry nel Piccolo Principe che l'essenziale è invisibile agli occhi.
c) alzare lo sguardo per non perseverare a testa bassa, evitando confronti e dubbi, ma guardare e camminare con chi è al proprio fianco, non aver timore di esprimere la propria opinione, andare a testa alta consapevoli delle proprie capacità, talenti, risorse; in altre parole è un risvegliare la voglia di giocarsi, accompagnata però dalla volontà di assumersi responsabilità; è un ricercare modalità di espressione, ma con l'impegno di contribuire attivamente al miglioramento; è la possibilità di sentirsi attori e protagonisti del cambiamento, consapevoli che il primo passo è il riconoscimento del valore dell'altro.
Conclusioni
Riempire le parole, travalicare i confini, alzare lo sguardo rappresentano prospettive di attenzione per una formazione che potrebbe fare un salto di qualità, assumendo come dovere una progettualità non solo applicata alla formulazione corso, ma una progettualità dei processi di apprendimento delle persone che vanno ben oltre allo logica del corso, una progettualità dello sviluppo professionale, una progettualità dei contesti di lavoro che rappresentano gli effettivi luoghi di apprendimento continuo, veri e propri workplace learning. La crescita professionale rapprensenta, quindi, la principale finalità della formazione e la risorsa prioritaria per le azienda per conseguire gli obiettivi auspicati.


Bibliografia:
M. Corsi, Il coraggio di educare, Vita e Pensiero, Milano, 2003.
Y. Engestrom, A. Sannino, Studies of expansive learning: Foundations, findings and
future challenges, in Educational Research Review 5 (2010) 1–24.
J.D. Novak, L'apprendimento significativo, Erickson, Trento, 2001.
D. Simeone, Educare in famiglia, La Scuola, Brescia, 2009.
S. Bonometti, Apprendere nei contesti di lavoro. Prospettive per la consulenza formativa, EUM, Macerata, 2008.
S. Maioli, L'apprendimento sul campo, in S. Maioli e M.P. Mostarda,  La formazione continua nelle organizzazioni sanitarie, McGraw Hill, 2008.

giovedì 1 aprile 2010

Un'esperienza con i medici

In questi giorni, con alcuni colleghi, abbiamo terminato un progetto di consulenza organizzativa presso una struttura Ospedaliera con più presidi nella provincia di Brescia. Il progetto ha preso avvio con un'indagine di clima organizzativo per i medici di primo e secondo livello sviluppata attraverso sessioni di focus group e la somministrazione di un questionario costruito ed adattato ad hoc.
L'analisi dei risultati ha prodotto un report attraverso il quale sono state condivise con la direzione e i medici le criticità più rilevanti. Con una scelta lungimirante della Direzione e un articolato lavoro di relazioni del Servizio Formazione si è proseguito il progetto con l'attivazione di tre gruppi di miglioramento, ognuno focalizzato su una specifica criticità, con l'obiettivo di analizzare il problema, ipotizzare proposte risolutive e delineare azioni di intervento. Il tutto si è concluso con una presentazione alla direzione generale e sanitaria dei risultati raggiunti e la concretizzazione delle prossime decisive azioni per produrre i cambiamenti auspicati.
A margine di questo interessante e proficuo lavoro di consulenza e ricerca mi sono venute in mente due immagini: la prima immagine rimanda al gioco di formare una figura collegando dei puntini numerati; la seconda rimanda alla parabola dei lavoratori della vigna.
a) unire i puntini: ciò che può dare valore formativo all'esperienza svolta da parte dei medici è la volontà di volgersi indietro e rivedere il percorso fatto, osservare ogni evento passato e provare ad unire queste esperienze come fossero punti isolati. In base ai propri vissuti, emozioni, pregiudizi, attese, frustrazioni e successi ogni medico può realizzare una forma, un'immagine, un di-segno attraverso il quale rappresentare il significato attribuito all'esperienza. Ciò che emerge è la possibilità di una molteplicità di immagini differenti, ognuna legata allo sguardo di ogni singolo medico, questa molteplicità che rappresenta di fatto una realtà sociale costruita è una grande risorsa, è espressione della ricchezza presente, è la molteplicità che connota la cultura di appartenenza. Lo sforzo da fare è avere il coraggio del confronto, non considerare la propria prospettiva come l'unica possibile, l'unica vera realtà, ma come uno sguardo parziale che necessariamente deve convergere con quello di altri. Inolte, unire i punti e trovare un significato a posteriore porta con sé un messaggio importante: non tutto si rivela al primo momento, non sempre ciò che si fa nel presente mostra il suo senso in modo immediato. Molto è possible spiegarlo o capirlo solo a posteriori.
b) la parabola dei lavoratori della vigna: l'immagine è quella di un cantiere aperto in cui è fondamentale il contributo di tutti. Ognuno è importante che sia un esperto o un novizio, che abbia grande anzianità aziendale o solo un neoassunto. La realtà è molto complessa e il contributo di tutti è decisivo. Inoltre, è importante che non ci si attivi solo su gratificazioni esterne, che portano a confornti continui, ma la propria azione deve risiedere in una passione per la propria professione (dimostrata di fatto dalla maggior parte dei medici incontrati) che permette di non perdere tempo ma affrontare con professionalità e concretezza le contraddizioni che quotidianamente si mostrano dinanzi.