venerdì 26 marzo 2010

Riflessioni interculturali

Il 18 marzo ho partecipato ad un seminario organizzato dal Corso di Laurea in Infermieristica dell'Università Cattolica - Poliambulanza di Brescia sul tema dei malati stranieri. La riflessione che ho presentato si è sviluppato secondo alcune fasi.
Il rischio che si presenta nell'affrontare una riflessione sugli stranieri è dato dall'etnocentrismo, ovvero considerare la propria cultura come l'unità di misura di ogni cosa. La cultura di appartenenza diviene un limite alla capacità di vedere "oltre da sè", un vincolo alla possibilità di conoscere modalità differenti di vivere la realtà. In altre parole, la cultura rischia di essere considerata come qualcosa distante dalla realtà, un sistema ideale con il quale misurare l'esperienza. Si attua una sorta di reificazione della cultura (G. Mantovani), un tirar fuori la cultura dalla realtà e attribuirle una sorta di valore ideale, o meglio ideologico. Va da sè che tale prospettiva aggrega la cultura ad una logica geografica e territoriale attribuendole un confine e una chiusura, con l'illusione di un'omegeneità interna solida e immodificabile. Da qui emergono ovviamente gli stereotipi sia deduttivi sia induttivi come principi per attribuiri giudizi alla diversità che si incontra. Ciò è frutto di una "banalizzazione" della complessità.
Un modo diverso di considerare la cultura e l'incontro fra culture è necessario.
La cultura è una sorta di sistema di segni, significati, strumenti, artefatti che ci permettono di conoscere e al tempo stesso costruire la realtà. Sono artefatti materiali e immateriali posti come mediatori strettamente connessi con le pratiche sociali. Le persone incorporano il sistema culturale che permette di mediare la conoscenza della realtà e al tempo stesso ne promuovono una trasformazione continua, modificano permanentemente il sistema culturale.
Il riferimento a Piaget e a Vygostkij è doveroso. L'apprendimento avviene attraverso un processo mediato con l'ambiente. Tale mediazione è data dalla dimensione culturale che non può essere disgiunta, astratta, omogenea, ma situata e in permanente trasformazione.
Il linguaggio è parte del sistema culturale, tale dimensione è impossibile che sia distante dalla realtà, anzi è incorporato, intriso, costitutivo delle pratiche sociali in quanto media la conoscenza della realtà. La raltà diviene "costruita" attraverso categorie culturali sempre parziali e relative. Ogni cultura è parte di una rete culturale.
Le barriere culturali non sono altro che zone di confine, zone prossimali di sviluppo culturale, permeabili, in cui è possibile integrare le pratiche sociali differenti.
E' necessario superare il paradigma geografico/spaziale delle culture, a favore di un paradigma pragmatico (P.C. Rivoltella), centrato sulle pratiche sociali e culturali in cui soggetti/attori provenienti da esperienze differenti riconoscono oggetti di confine (boundery object) attraverso i quali ricercare confronto e integrazione (P.G. Rossi, Toppano).
La quodianità diviene opportunità per superare le possibili contraddizioni costruendo nuovi modelli culturali.
La cura del malato straniero può essere un Boundery Object in cui si incontrano pratiche sociali differenti, sistemi di attività differenti che condividono medesimi oggetti per raggiungere risultati condivisi (Y. Engestrom).
Il malato con la sua famiglia, la comunità degli infermieri, dei medici ospedalieri, delle risorse territoriali sono sistemi di attività con specifiche culture professionali che possono dar vita a nuovi modelli di cura e di assistenza. Nel superare le contraddizioni è possibile espandere il proprio sapere (expansive learning) per trasformare i propri sistemi culturali e ricercare un'integrazione fra modalità d'agire differenti.
Si avvalora un rapporto di reciprocità fra differenze viste come risorse, le quali trasformano i confini in zone di sosta, di incontro, di confronto e di nascita di nuove culture.